Mmg inglesi chiudono a informatori,
Brignoli (Simg): errore, informazione indipendente è utopia Medici di famiglia e informatori scientifici ai ferri corti in Inghilterra: due terzi dei "general practitioners" non riceverebbero più rappresentanti delle industrie farmaceutiche e 40 su cento avrebbero una percezione negativa dell'industria. Non si tratta dei soliti pregiudizi: certo, per il 56% di chi rifiuta il contatto il produttore di farmaci è sempre legato al profitto.
Tuttavia a "big pharma" si imputa soprattutto di non capire i bisogni del medico di famiglia e come lavora (20% del campione di 551 medici intervistati nel sondaggio della società Binley) e di non comprendere come e quanto la categoria sia pressata da misure di budget (17% degli intervistati). Una situazione che può valere per l'Italia. Di recente a Pescara è stato chiesto agli informatori di non entrare in studio con dispositivi elettronici attivi che potrebbero registrare o visualizzare dati anche all'insaputa dello stesso rappresentante. Segno di una percezione dell'industria che si va deteriorando? «A mio parere le situazioni italiana e britannica sono diverse - afferma Ovidio Brignoli, vicepresidente Simg - gli inglesi sono più avanti di noi nei "contingentamenti" di risorse, sono pressati dal National Health Service a risparmiare, noi viviamo nell'esasperazione di un contratto non rinnovato da sei anni e di sanzioni di cui basterebbe poco a far capire l'inutilità. Il comune denominatore è che gli stati in tutta l'Unione Europea ci chiedono di essere trasparenti e responsabili, ma poi interpretano a modo loro i contenuti delle loro richieste. Questa schizofrenia mette i medici a disagio. Dopodiché, dev'essere l'industria il loro capro espiatorio?». Per Brignoli, «dall'industria il medico dovrebbe aspettarsi un'informazione su farmaci (ma anche su dispositivi e modelli gestionali di patologie) sì di parte ma tale da metterlo comunque in grado di esercitare proprie valutazioni, confrontandola con quanto viene a sapere con l'aggiornamento, lo studio dei trial, l'evidence based medicine, la letteratura». L'informatore offre un valore aggiunto? «Sì. Ma è possibile che il pressing istituzionale stia portando i colleghi britannici al burn-out: oberata di compiti, la practice inglese ritiene evidentemente un aggravio il tempo che si impiega per processare le informazioni ricevute dall'industria, le vive come tempo sottratto alla professione, per di più pensando che il più giovane dei farmaci prescritti dal medico di famiglia è datato anni. Avrebbero ragione se vi fosse un'informazione indipendente ampia, capillare, avanzata. In realtà, il National Institute for Health and Care Excellence-Nice offre indicazioni -proprio secondo studi Uk - solo per un 13% delle prestazioni della practice. Il restante 87% è farina del sacco della capacità di giudizio del medico. Questa capacità a mio avviso andrebbe coltivata dagli stati europei e non scoraggiata con norme tipo il decreto Lorenzin che scambia criteri di farmaco economia per appropriatezza e li impone attraverso sanzioni. La professione dovrebbe chiedere un tavolo con il ministro per farle capire che rischiamo di essere progressivamente diseducati a pensare, con tutte le derive che da ciò seguiranno, perché tanto le regole poi le fa lo stato».